Tolkieniani Italiani – intervista a Giuseppe Festa

Chiunque si sia avvicinato al mondo degli appassionati tolkieniani negli ultimi vent’anni non può aver ignorato il notevole contributo in fatto di arte, sensazioni ed emozioni che Giuseppe Festa ha donato a tutti coloro con cui è stato in contatto. Ormai le manifestazioni e gli eventi che ha impreziosito con le sue note e le sue parole, comprese diverse edizioni di Hobbiton, non si contano più. E anche se ormai la sua strada ha preso un’altra direzione, leggerete dalle sue stesse risposte che ad ogni modo tra i Tolkieniani Italiani lui c’è sempre stato e sempre ci starà: il suo percorso e quello del Professore hanno davvero tanto in comune. Scopritelo dalle sue risposte alle domande sapienti di Giuseppe Scattolini.


Giuseppe Festa è un nome molto noto tra i tolkieniani, soprattutto per le musiche dei Lingalad in “Voci dalla Terra di Mezzo”. Io le adoro per vari motivi: i testi sono quelli di Tolkien, le melodie sono molto belle, l’ambientazione naturale e paesaggistica di molte di esse le rende uniche, e il Professore le avrebbe certamente apprezzate (la figlia Priscilla lo ha fatto). Quando nasce il progetto per la registrazione del cd “Voci dalla Terra di Mezzo”, e quali sono la storia passata, il presente e gli obiettivi futuri dei Lingalad?

Ho scritto i primi brani nel 1998, semplicemente per cantarli davanti al fuoco con gli amici, o durante qualche passeggiata nei boschi. Erano Beren e Tinuviel, La via prosegue senza fine e Montagne di luna inondate. Fu un amico a convincermi a farne un cd. Era un periodo di particolare ispirazione e ricordo che in una sola settimana composi tutte le altre tracce dell’album. Una volta pubblicate, cominciarono a girare online (eravamo agli albori di internet) e subito arrivarono delle richieste per suonarle dal vivo. Così chiesi al mio amico Fabio Ardizzone di formare un duo e provare a costruire un concerto acustico a lume di candela, proprio come degli Hobbit in una locanda della Contea. Quando le date cominciarono ad aumentare, richiamammo il batterista che suonava con noi ai tempi del liceo e con cui eravamo sempre rimasti in contatto, Giorgio Parato. Fu così che nacquero ufficialmente i Lingalad. La svolta del nostro percorso artistico avvenne nel 2003, quando ricevemmo un invito a suonare in America alla prima del film Il Signore degli Anelli – Il Ritorno del Re. Quell’evento attirò l’attenzione dei media italiani e ci permise di farci conoscere di più.
Negli anni abbiamo aumentato l’organico del gruppo e abbiamo percorso sentieri anche lontani da Tolkien, ma sempre nutrendoci del forte potere evocativo della natura che troviamo nelle sue pagine. Il futuro è fatto del video di un concerto che pubblicheremo a breve e di un cd celebrativo dei nostri 20 anni di musica. Poi, chi lo sa? La via prosegue senza fine…

Oltre che cantante, Giuseppe, sei anche uno scrittore. Io in particolare ho letto “La luna è dei lupi”, che ho apprezzato tantissimo e per i tanti suoi aspetti. Parlaci un po’ dei tuoi romanzi, del loro significato, dello stile in cui li scrivi, e soprattutto del perché li scrivi: che cos’è che ti fa amare tanto la natura, e cosa ha da dire essa al cuore dell’uomo secondo te?

 Ho sempre raccontato storie attraverso le mie canzoni, ma a un certo punto ho sentito il bisogno di più spazio per descrivere personaggi, trame e sotto trame. Così è nato Il passaggio dell’orso (Salani), il libro che ha segnato il mio esordio. Non pensavo che la scrittura sarebbe diventata il mio lavoro, ma alla fine è andata proprio così. Anche nei miei libri, come nella musica, i protagonisti assoluti sono il rapporto uomo-natura, gli animali, le foreste secolari. Sono convinto di amare così tanto la natura perché sono nato e cresciuto a Milano. Mi è mancata davvero tanto, soprattutto quando tornavo in città dopo i week end trascorsi dai miei nonni, che abitavano in un piccolo paradiso nei boschi, sul Lago d’Iseo.
A vent’anni feci un’esperienza di volontariato al Parco Nazionale d’Abruzzo e quei giorni ribaltarono la mia vita. Tornai e cambiai città, università e lavoro. Lasciai la facoltà di Ingegneria (con “grandissima gioia” di mio papà ingegnere) e virai su Scienze Naturali, dandomi all’educazione ambientale nelle scuole. Quell’esperienza al Parco ispirò anche Il passaggio dell’orso, che racconta la storia di un ragazzo di città alle prese per la prima volta con le foreste abruzzesi e i suoi orsi.
Negli ultimi anni ho scritto diversi romanzi, mentre l’ultimo nato, I figli del bosco (Garzanti), appartiene al genere non-fiction e racconta la storia vera di due lupi, che ho avuto la fortuna di vivere personalmente.

Dando uno sguardo sul tuo sito personale, http://www.giuseppefesta.com/, leggo che sei anche un educatore ambientale. Parlaci un po’ di questa tua professione: che cosa significa essere degli educatori ambientali oggi? E soprattutto: a parer tuo c’è una sorta di educazione ambientale ed all’amore per la natura in Tolkien?

Tolkien è stato un educatore ambientale ante litteram, e lo considero un mio maestro. Nelle mie attività con i bambini cerco di riempire di contenuti “magici” gli elementi naturali. Fin quando considereremo un albero solo un insieme di vasi del legno, linfa e cellulosa, faticheremo a creare con lui un legame emotivo. Bisogna coltivare i sentimenti per la terra prima di seminare i concetti ecologici. I bambini di oggi sono molto lontani dalla natura, spesso possono vederla solo attraverso lo schermo dei loro device tecnologici. Eppure in loro c’è una carica selvaggia incredibile e basta poco per abbattere quelle barriere attitudinali che li dividono dalla natura.
Purtroppo, se superano una certa età senza aver avuto esperienze significative e positive con la terra, allora il legame si spezza definitivamente. Dobbiamo agire prima, fargli vivere il bosco e gli animali come un’esperienza emotiva piacevole, divertente, sorprendente e appagante. Solo così avremo degli adulti con la voglia di adottare comportamenti sostenibili nei confronti del Pianeta. Conosciamo ciò che studiamo, ma proteggiamo solo ciò che amiamo.
Che bello se ognuno di noi potesse avere anche soltanto una briciola del rispetto e l’amore che gli Elfi nutrono per i loro boschi.

Venendo invece alla tua sensibilità, qual è il tuo modo di approcciarti ai testi Tolkieniani? Ad esempio, c’è un passo del Signore degli Anelli in cui Tolkien fa la stessa cosa che fai tu nei tuoi romanzi. Nel capitolo “In tre si è in compagnia”, cito: “Qualche piccolo essere incuriosito si avvicinò ad osservarli quando si fu spento il fuoco. Una volpe, che attraversava il bosco per affari suoi personali, si arrestò qualche minuto ad annusare. «Hobbit!», pensò. «Incredibile! Avevo sentito dire che avvenivano strane cose in questo paese, ma trovare addirittura degli Hobbit che dormono all’aria aperta sotto un albero! E sono in tre! C’è sotto qualcosa di molto strano». Aveva perfettamente ragione, ma non riuscì mai a scoprire che cosa.” (traduzione Bompiani 2002) Quando leggi queste righe, quali sono le sensazioni che ti danno? Come stimolano la tua immaginazione?

 Nei miei romanzi (e anche nelle canzoni) ho sempre cercato un ribaltamento di prospettiva, provando a immaginarmi i pensieri degli animali, il loro giudizio su di noi e sul nostro mondo. Ho anche provato a immaginarmi i pensieri di elementi naturali come un albero, un fiume o una montagna (come nel cd Lo spirito delle foglie). Ovviamente ognuno di questi elementi naturali può essere visto come una tipologia umana in cui riconoscersi: il vecchio lupo alla ricerca di un branco, la giovane aquila pronta a spiccare il volo, la foglia che riflette sul passare delle stagioni e sul suo destino che la porterà ad essere parte del tutto e a rinascere sotto forme diverse.
Metterci nei panni degli altri ci aiuta a comprendere meglio la realtà che ci circonda. La stessa cosa, esasperandola al massimo, l’ho fatta nel libro che hai citato prima, La luna è dei lupi, dove gli animali parlano e riflettono sul mondo degli umani. Il libro diventa così uno specchio di noi stessi. E il lupo è, a mio parere, il miglior animale in cui specchiarci, visto che nei suoi occhi, ne sono certo, possiamo vedere una parte di noi che abbiamo perso. Scorgiamo un’empatia col mondo naturale, uno spirito di libertà che un tempo era nostro ma che ora abbiamo smarrito. Non dovremmo temere il lupo, ma l’esserci allontanati dal nostro essere lupi.

Per chiudere vorrei chiederti questo: quando Barbalbero dice di non stare dalla parte di nessuno, perché nessuno è dalla sua parte, a te cosa fa venire in mente?

Penso a un essere straordinario, uno dei più riusciti di Tolkien, che in questo caso non dice del tutto la verità: Barbalbero sa benissimo da che parte stare, e quando viene il momento di passare all’azione, lo fa con la massima forza e determinazione. Dovremmo prendere esempio da lui. Noi umani stiamo attraversando un momento storico che assomiglia molto a una lunghissima Entaconsulta. Si discute da anni su cosa fare per affrontare gli sconvolgimenti climatici che stiamo provocando noi stessi. Speriamo che alla fine delle discussioni si possa partire in una direzione precisa e marciare verso Isengard. Prima che sia troppo tardi.