Tolkieniani Italiani – Intervista a Gabriele Petouchoff

Gabriele Petouchoff, classe 1998, studia tastiere storiche e composizione al conservatorio Niccolò Paganini di Genova. La sua musica, di impronta generalmente neo-tonale, è influenzata dallo stile di compositori come Samuel Barber, Benjamin Britten e Arvo Pärt. Appassionato di letteratura, filosofia, teologia e arte, ama esprimere la sua creatività non solo tramite la musica ma anche attraverso scritti di vario tipo, saggi e articoli di cultura generale. Amante del fantasy, nel tempo libero coltiva la passione per i giochi di ruolo e i videogiochi. Tifoso della S.S. Lazio, oltre al calcio ama il nuoto e l’equitazione. Lo ha intervistato per noi Luisa Paglieri.


Allora, Gabriele… Sappiamo tutti che tu sei un musicista e componi. Ma ora ti chiedo: chi è Gabriele Petouchoff?

E’ un giovane ragazzo con la testa un po’ fra le nuvole, che ama passeggiare nei boschi, andare a cavallo, giocare a scacchi e chiacchierare davanti a un bel boccale di birra, mentre fuori fa freddo e la pioggia diffonde intorno il suo profumo. 

Come hai conosciuto Tolkien?

E’ stato tutto merito di mio zio, Francesco. Fin da piccolo la mia fantasia veniva stimolata e nutrita dalla lettura di fiabe, poesia, epica, racconti di avventura e dalla stessa passione per le lingue artificiali che portò Tolkien a inventare i suoi celebri linguaggi. Mio zio mi immerse nel mondo fantasy prima tramite i giochi di ruolo (Dungeons & Dragons in primis), poi, un bel giorno, mi invitò a guardare insieme con lui la trilogia cinematografica del Signore degli Anelli di Peter Jackson. Mi si aprì un mondo, e fu l’inizio di una fervida passione che dura tutt’oggi e giorno dopo giorno non cessa di crescere. Dopo i film passai ai libri, poi a Lo Hobbit, a Il Silmarillion, e alle tante altre opere tolkieniane…

Mi pare anche tu sia un appassionato lettore di Lewis… che del resto amo anch’io!

Scoprire C.S. Lewis è stato come ritrovare finalmente un amico di cui si è percepita inconsciamente l’esistenza ma che non si ha mai avuto modo di incontrare prima. Una sorta di compagno di viaggio. E’ lo scrittore con cui posso dire di aver avuto una sintonia e affinità totale, una complicità che non cessa mai di stupirmi. Da bambino osservavo con meraviglia la copertina lucente delle Cronache di Narnia edite dalla Mondadori, con la figura di Aslan contornata da fiamme splendenti, e mi perdevo nella contemplazione degli occhi del leone. Non osavo aprire quel libro, spaventato dalla sua mole, bensì mi ero avvicinato al mondo narniano -anche qui- tramite il film. Non avrei mai pensato allora che in Lewis avrei trovato in seguito non solo uno scrittore capace di creare storie che toccano l’anima e donano ali alla fantasia, ma anche uno straordinario filosofo, una mente acuta e un fervente cristiano, dunque un uomo di una sensibilità estremamente simile alla mia. 

E’ proprio la sovrapposizione estetica fra il mondo romantico della fantasia creativa (anzi “sub-creativa”, come direbbe Tolkien) e il mondo della realtà ciò che ha sancito le “nozze” fra le diverse componenti del mio mondo interiore, che da sempre anela alla “ricapitolazione di tutte le cose in Cristo” di cui parla San Paolo. 

Vedi qualche punto di contatto tra il tuo amore per la musica e Tolkien? Potresti comporre qualcosa sul suo mondo?

Assolutamente sì! L’opera di Tolkien è ricca di spunti per l’ispirazione. Se da un lato è da sempre un mio desiderio quello di comporre qualcosa utilizzando i testi di Tolkien, dall’altro l’impresa mi intimidisce un po’. Sarei in grado di ricreare le stesse atmosfere epiche e sognanti? Sarei capace di trasferire le sonorità di una lingua come il quenya o il sindarin in musica? Il Professore, se sentisse ciò che scrivo, sarebbe contento di me, o sbufferebbe arricciando il naso? Sono interrogativi che mi pongo ogni volta che mi avvicino a Tolkien dal punto di vista musicale. Ad ogni modo, ho in cantiere delle arie per canto e pianoforte su testi elfici, e soprattutto sto progettando un lavoro di ampio respiro e grandi dimensioni sull’Ainulindalë, il primo capitolo del Silmarillion, in cui si racconta la genesi di Arda, dove la musica degli Ainur, nel testo, gioca un ruolo fondamentale nella creazione del mondo.

Che compositore sei? A me lo hai spiegato ma ora ti chiedo di spiegarlo a chi ci legge. Parlaci del tuo lavoro.

Per risponderti in una maniera più convincente ed esaustiva, credo che farò prima a dirti che tipo di compositore non sono. Non sono uno di quegli artisti della cosiddetta “avanguardia”, per cui è più importante l’idea intellettuale che l’opera d’arte in sé. Non sono uno di quei compositori che, pur di scrivere qualcosa che possa sembrare nuovo, sono disposti a dimenticare e a passare sopra secoli e secoli di tradizioni tanto facilmente. Non sono nemmeno uno di quegli artisti autoreferenziali che creano soltanto per loro stessi e per il loro ego. Mi considero semplicemente un piccolo artigiano che, per usare le parole di Mozart, va alla ricerca delle “note che si amano”. La ricerca della Bellezza è ciò a cui aspiro ogni volta che mi trovo davanti al foglio bianco, convinto che la “via pulchritudinis” sia una delle strade più entusiasmanti per avvicinarsi a Dio e che la Bellezza sia dispensatrice di verità morali fondamentali sull’uomo. Credo, per citare Chesterton, che “la dignità dell’artista consista nel tener vivo il senso di meraviglia nel mondo”. E’ per tale motivo che mi ritengo affine a compositori quali Stravinskij, Britten, Barber o Pärt, che hanno cercato di rinnovare -talvolta in maniera anche molto drastica e brusca- rimanendo nell’alveo della tradizione. Potrei forse dire che sono neo-tonale e neo-modale, che utilizzo cioè un linguaggio che recupera e rivisita stili passati legati alla tonalità e alle antiche modalità, alla luce delle intuizioni armoniche novecentesche e delle innovazioni stilistiche e formali che sono state compiute da un secolo a questa parte. Non disdegno però lo sperimentare anche strade differenti. Giusto recentemente ho scritto con intento ironico una musica ispirata al minimalismo di Steve Reich intitolata “All’amico calorifero”, in cui ho integrato i moduli suonati da sei strumenti musicali con una traccia audio contenente i rumori prodotti dal termosifone della classe di clavicembalo del conservatorio. E’ stata accolta con un entusiasmo che non mi aspettavo sia dagli esecutori sia dal pubblico. Chissà che alla fine il minimalismo non si riveli la mia strada…

Secondo te, qual è il messaggio, esplicito o implicito, di Tolkien ai lettori? E quello di Lewis? Sono messaggi diversi?

Credo che Tolkien e Lewis abbiano agito e operato su piani distinti, ma che in fondo abbiano comunicato lo stesso messaggio. Tolkien ci trasmette l’incanto che hanno su di noi mondi lontani, arcani, epici, per l’appunto, con l’intreccio delle loro trame e delle loro lingue; Lewis ci dice che questa meraviglia non è campata in aria, quasi fosse un sogno irraggiungibile, una chimera, bensì essa può essere incontrata nella vita di tutti i giorni. Questo perché i miti e le storie umane sono il riflesso della grande storia del Figlio dell’Uomo di cui ci parlano le Scritture. Dio è mitopoietico, cioè ama raccontarsi attraverso delle storie: se la vita terrena di Cristo è un mito accaduto davvero e fattosi storia nello spazio e nel tempo, allora anche le nostre fantasie possono dirsi, in un certo senso, reali, perché Dio vuole soddisfare pienamente anche il nostro senso del meraviglioso e del fantastico. Se Il Signore degli Anelli apre le porte verso un paesaggio di straordinaria bellezza, Le Cronache di Narnia ci ricordano che tale paesaggio non è perduto chissà dove, ma inizia nella nostra vita, è ritrovabile qui ed ora in una “presenza” da cui siamo circondati. In fondo, sia Tolkien sia Lewis fanno un meraviglioso inno alla vita, vista come un dono e un’avventura degna di essere vissuta. Ed è proprio con questa immagine che desidero chiudere questa intervista: 

Davanti a lui stava l’Albero, il suo Albero, bell’e finito. Se lo si poteva dire di un Albero, quello era vivo, con le foglie che si aprivano, i rami che crescevano e si piegavano nel vento che Niggle aveva così spesso sentito e immaginato, e che tanto spesso non era riuscito a prendere. Guardò l’Albero, e lentamente alzò le braccia e le allargò.

«È un dono!», esclamò.”

  • J.R.R. Tolkien, “Foglia”, di Niggle

Ringraziamo Gabriele per il tempo che ci ha dedicato e restiamo in attesa delle belle sorprese che ci riserverà.