Tolkieniani Italiani – Intervista a Maurizio Migliori

Cari amici, Cavalieri del Mark e Tolkieniani Italiani,

ci sarebbero molti modi di cominciare questa breve biografia di Maurizio Migliori, che ho avuto il piacere di intervistare per voi. Io l’ho conosciuto ad un passo dal pensionamento, è stato (ed è ancora) uno dei miei professori all’università di Macerata: ho seguito molti suoi corsi e seminari sui testi di Platone e quello che ricordo con maggior piacere e commozione è stato il primo, quello sulla dialettica platonica, che seguii nel mio secondo anno di università.

Quel corso mi ha davvero cambiato molto. Mi ha insegnato a ragionare, a scavare dentro i testi, ad essere curioso e appassionato, ed a fare in modo che sia il desiderio l’asse portante, il traino e il metodo degli studi.

Ricordo ancora, tra l’altro, il giorno in cui il professor Migliori si presentò in aula con le lacrime agli occhi: era il 15 ottobre 2014, giorno della morte di Giovanni Reale. È stato uno di quei giorni in cui poter dire con orgoglio “io c’ero”. Non lo dimenticherò mai.

Giovanni Reale è stato colui che ha portato in Italia il nuovo metodo di Tubinga: la lettura dei dialoghi di Platone non come se fossero ciascuno di essi dei testi a sé stanti, ma come un tutt’uno, come un corpus unitario che trova la sua compiutezza nelle “dottrine non scritte”, quelle dottrine che Platone tante volte annuncia ma che non scrive mai, e di cui abbiamo delle tracce negli scritti dei suoi allievi, come Aristotele. Tramite Reale nacque così la “scuola Tubinga-Milano”, che ha rivoluzionato gli studi in materia.

Al suo ingresso in università, la Cattolica di Milano, il professor Reale ebbe come primo allievo, e primo laureato, Maurizio Migliori. È stato da allora, siamo negli anni caldi del ’68, che è iniziata una delle più proficue collaborazioni tra maestro e allievo che la storia possa ricordare: lo dico perché io, come tante altre persone, sono un po’ uno di quelli che hanno raccolto questa eredità a Macerata. Infatti, il professor Migliori per anni è stato impegnato in politica nelle lotte del ’68, e questo fu il motivo fondamentale per cui non entrò in università immediatamente, ma dovette aspettare 24 anni di insegnamento nelle scuole superiori prima di vincere la cattedra a Macerata, dove era all’epoca mancante un vero e proprio studio di antichistica in filosofia.

Grazie al professor Migliori la tradizione è proseguita anche qui da noi, e la scuola Tubinga-Milano è ancora viva ed è diventata la scuola Tubinga-Milano-Macerata. Ad oggi, il metodo della scuola sta venendo proposto dal professor Migliori e dalla sua allieva, la professoressa Arianna Fermani, in modo nuovo, sotto il nome di “Multifocal Approach”: nell’intervista è lo stesso Migliori a spiegare che cosa sia.

Da parte mia, posso solo dire che è stata una fortuna per me avere Migliori come professore, maestro ed insegnate: una persona viva, vivace, orgogliosa delle sue battaglie politiche nella sinistra (quella vera, direbbe lui) del 1968. Se noi oggi portiamo i jeans lo dobbiamo anche alle persone come Maurizio Migliori, che all’epoca ebbero il coraggio di andare contro i propri genitori anche per queste cose che oggi sembrano delle piccolezze: faccio l’esempio dei jeans proprio perché lui ce lo ha ripetuto un’infinità di volte a lezione, nelle sue “cavalcate selvagge” di esempi biografici per spiegare a noi studenti i dialoghi di Platone.

Nell’insegnamento, Migliori non ha mai fatto “ideologia”, mai: ci ha solo e sempre insegnato Platone, ed attraverso di lui ad essere dei filosofi. Un esempio umano, prima che accademico, che tutti noi dovremmo imparare a seguire. Dati soprattutto i trascorsi politici e ideologici del mondo tolkieniano di cui tutti sappiamo, e che non tutti vorrebbero vedere morti e sepolti.

Giuseppe Scattolini

 


Tolkieniani Italiani – Società Tolkieniana Italiana – Associazione “I Cavalieri del Mark”

Presentano

Trascrizione di Dante “Farmer Maggot” Valletta

dell’intervista orale realizzata da Giuseppe Scattolini

al Professor Maurizio Migliori

Università di Macerata Facoltà di Lettere e Filosofia – Gennaio 2019

 

Anzitutto grazie, professore, per aver concesso questa intervista ai Tolkieniani Italiani, alla Società Tolkieniana Italiana e ai Cavalieri del Mark. La prima domanda che le faccio è questa: lei è un appassionatissimo studioso di Platone; come si coniuga una vita di studi di altissimo livello su uno dei filosofi più grandi dell’Occidente con una passione come la sua? Perché vede, nei Tolkieniani è presente questa spaccatura fra appassionati che fanno fatica a studiare e ad appassionarsi, appunto, agli studi, e studiosi che invece perdono quella sana e genuina gioia della scoperta. Io nella mia esperienza di suo studente ho visto in lei una gioia costante unita ad una profondità unica di lettura; come si fa a tenere insieme questi due livelli, questi due binari che nel mondo Tolkieniano pare corrano parallelamente senza incrociarsi mai e che nonostante ciò sono tanto importanti sia in sé che l’uno per l’altro?

Sai, qui io credo che ci sia un dato della cultura dell’Occidente che ha radici molto lontane, come tu sai, e cioè la spaccatura tra Scienza e Mito, tra Filosofia, tra pensiero razionale e Mito, e cioè il fatto che un problema può essere affrontato razionalmente, come siamo normalmente abituati a fare, e può essere però affrontato anche con racconti; il Mito, il Grande Mito. Voglio dire, non credo di dover dimostrare che, non so, il nostro Leopardi, visto che siamo qui a Macerata, il nostro Leopardi nell’Infinito fa un discorso di una grandissima profondità teorica, su cui si può meditare e riflettere. Certo, il Mito va affrontato in un certo modo, non è la razionalità del ragionamento, delle matematiche, della Filosofia, e via dicendo, e tuttavia non è irrazionale, perché affronta un problema e cerca di inquadrarlo, cerca di presentarlo nella forma migliore. E allora, la separazione invece da noi… Be’, noi originariamente eravamo per il Mito, anche la nostra società è basata su grandi Miti, fin dall’antichità, il mondo Greco era basato su Omero, e poi su Esiodo, il mondo Ebraico, che poi sono confluiti, era basato sui grandi Miti della Bibbia, e via dicendo. Cristo stesso, ogni volta che deve spiegare una cosa, racconta una Parabola, non è che fa altro. Però questa separazione funziona, e allora non possiamo dire che il Mito non c’è nella nostra cultura, però certamente è estremamente secondario. La Scienza è sempre più, tra virgolette, “arida”, senza anima; non vi è nessun dubbio credo, da parte nostra, che quando il Racconto affronta un problema c’è una bellezza, se il mito è un Grande Mito, come solitamente è, che non è paragonabile alla bellezza del ragionamento. Il ragionamento è bello: un’equazione può essere bella, una partita a scacchi può essere bella, e tuttavia la bellezza del racconto è un tipo di bellezza diversa. La realtà non è mai semplice, ci sono bellezze e bellezze; la bellezza di un ragionamento nella sua perfezione, nella sua concatenazione; di una equazione quando un matematico, io non sono un matematico, dice “guarda che bella equazione!”, io capisco quello che lui prova, anche se io non provo assolutamente niente davanti a quella equazione; ma ricordo quando giocavo benino a scacchi che c’erano certi momenti in cui ci fermavamo dicendo: “Guarda che situazione bellissima!”. Ed è una bellezza reale, non è inventata, chi ha gli occhi giusti la vede, no? Quindi ci sono questi elementi, noi ci siamo un po’ inariditi, e di conseguenza il Mito stesso si impoverisce. La grande poesia di Leopardi richiede capacità razionali in modo da cogliere quella ricchezza, se no non la vedi, se no il Mito rimane senza luce, non riesce a fare quell’operazione di scaldarci il cuore, se possiamo andare sul poetico, che invece è proprio tipico del Mito. Allora, da questo punto di vista Platone, come tu sai benissimo, modula continuamente queste due cose. Non solo perché mette sempre in scena, come dire, un episodio, una “fiction”, a volte anche molto drammatica, compresa la morte di Socrate, una pagina immortale della nostra letteratura, una delle pagine senza le quali l’occidente non è occidente; la morte di Cristo e la morte di Socrate sono le due grandi morti che segnano tutta la nostra civiltà. Quindi Platone ha questa ricchezza, noi ci avviciniamo alla verità ragionando e ci avviciniamo alla verità mitologizzando. Bisogna usare entrambi gli strumenti. Tanto più il discorso poi è astratto… i valori.. e tanto più il Mito serve. E questo in Tolkien si vede benissimo. Il racconto di Tolkien è pieno, di valori. Io, a differenza di voi, non ho dedicato tutto il tempo che sicuramente voi avete dedicato e continuate a dedicare [a Tolkien], ma pensa a come è forte in Tolkien, secondo me, poi se sbaglio correggimi pure, il senso del limite, che è un grande concetto in Platone; che è il fatto che possiamo essere umani, o comunque di altre “razze”, ma sempre limitati, con certi condizionamenti. Quindi, come dire, i Nani hanno i loro, gli Elfi hanno i loro, gli Umani hanno i loro; e tuttavia l’intreccio tra questi dà luogo a una Compagnia che alla fine raggiunge una cosa che, obiettivamente, a metà del racconto sembra proprio che non ce la faranno. Quindi vedi che, come dire, il collegamento non è poi difficilissimo. Però bisogna avere un’apertura alla ricchezza di esperienze che la nostra vita e la cultura in cui viviamo ci mette a disposizione. Certo che se uno pensa solo a far matematica, e uno pensa solo a divertirsi nel Mito, fa male il Mito, e quello fa una matematica che, io spero che lo renda felice, ma ho qualche dubbio, insomma.

Lei professor Migliori è uno dei lettori di Tolkien della prima ora, domanda da collezionista: ricorda per caso se fosse la primissima edizione Rusconi quella che lei ha letto de Il Signore degli Anelli, quella con la copertina bianca e nera del 1970? Volevo anche chiederle: in merito alla sua lettura di Tolkien di anni fa, quali furono le sue impressioni sul testo in relazione a quegli anni caldi della politica italiana in cui lei fu impegnato in prima persona? Rispetto a ciò che ha vissuto e visto con i suoi occhi, come era recepito Tolkien negli anni ‘70 del secolo scorso?

Allora qui c’è proprio, sai, una delle storielline carine che posso raccontarti. Ovviamente non mi ricordo se fosse l’edizione del ‘70, io ce l’ho ancora, se fossimo a casa mia andrei a controllare, ma direi di no, non credo fosse quella; credo di averla comprata diciamo nel 1980, quindi dubito che sia quella. Era il “volumone” della Rusconi, anzi adesso dovrei comprarne un altro perché è veramente un po’ consunto, perché l’ho letto io, l’ha letto mia moglie, l’hanno letto i miei figli, quindi a forza di rileggerlo, un libro grosso in quel modo, ha i segni dell’amore con cui è stato accompagnato. No, il punto che a me interessa raccontarti è che, sai, anche quando ho insegnato, io ho insegnato per vent’anni alle superiori, ma tu mi conosci, io sono una macchinetta, continuo a inventar cose, e anche in quegli anni, che erano poi anni molto particolari, gli anni 70-80 sono stati anni di barricate, di continue invenzioni di cose, sperimentazioni, e via dicendo; e quindi la sezione F del mio Istituto, che era la mia sezione, del mio Istituto; e tutta Como sapeva che voleva dire questo, organizzavamo continuamente cose. E una delle cose che abbiamo organizzato, con un giovanissimo mio amico, che sarebbe poi diventato Professore Universitario proprio nel settore della Comunicazione, Fausto Colombo, che insegna in [Università] Cattolica; e gli ho detto: “Vieni a fare una serie di incontri” e via dicendo, anche perché Fausto era, ed è, un tipo brillantissimo, molto vivace, quindi figurati, in un Istituto Magistrale… e lui ha fatto una serie di lezioni bellissime, molto utili alle ragazze, ma anche utili a me, e durante una di queste lezioni, me lo ricordo benissimo, ha citato Tolkien, e si è rivolto alle ragazze dicendo: “Ma l’avete letto, no? Non l’avete letto? Ma che cosa avete fatto!? È un libro bellissimo! Che va letto!” Nota che non aveva ragioni ideologiche eh, non è certamente un uomo di destra, anche se gli anni erano quelli, e Tolkien aveva quella forte caratterizzazione ideologica, ma Fausto, come il sottoscritto, non si lascia condizionare dal timbro che ci mette sopra altra gente, eventualmente vado a leggere, e vedo se il timbro è meritato o no. E io sono rimasto folgorato da questa affermazione di una persona che io stimavo tanto. Ha detto: “È un libro bellissimo! Che dovete leggere assolutamente!” Lui si rivolgeva alle ragazze, ma io poi ci metto per me, quindi quanto prima mi sono comprato i libri, e pensa che sono partito da Lo Hobbit, neanche dal “grande” Tolkien; e comunque anche, per chi non ha letto il Signore degli Anelli, già Lo Hobbit è un bel libro, obiettivamente, cioè se uno parte prima dal Signore degli Anelli, secondo me, non lo so, si può discutere, potrebbe avere qualche piccola delusione. Quindi, letto Lo Hobbit, poi subito dopo mi sono letto Il Signore Degli Anelli, senza lasciarmi certo condizionare da quello che in quegli anni si faceva, i campi Hobbit e via dicendo. Anche perché sinceramente io, lui poi era cattolico, sicuramente un moderato, elementi di cultura di destra non ne ho visti proprio. Ma credo che non fosse questo che gli interessasse, anzi, ci scommetto proprio; voi lo sapete meglio di me, che conoscete Tolkien per tanti aspetti della sua vita, delle sue scelte. A me non mi sembra che sia un libro, come dire, ideologicamente impegnato. Un libro valorialmente impegnato, culturalmente impegnato, quello sì. Ma i valori non sono proprietà di qualcheduno, che se le mette in tasca e dice sono miei.

Grazie alla biografia di Tolkien e agli studi in merito, sappiamo quanto lui, ricordato oggi dai Tolkieniani come “il Professore”, tenesse ai suoi studenti. Era un vero e proprio Maestro per loro, e forse se avesse dedicato loro meno tempo, avrebbe scritto di più e avrebbe fatto più studi. Tuttavia non possiamo nemmeno dire che il tempo passato con gli studenti sia tempo perso: lei che nella vita ha avuto un grande Maestro, oltre che suo professore, come Giovanni Reale, cosa può dirci riguardo al rapporto che si instaura in ambito accademico tra un Professore e il suo studente, il Maestro e l’allievo, quanto è importante il tempo che si dedica a questa che potremmo definire istruzione orale, le cui uniche tracce scritte sono quelle lasciate nell’anima? Questo tra l’altro è certamente un lato dell’insegnamento che Platone stesso valorizzava tantissimo; cosa può dirci in merito rispetto, dunque, tanto ai suoi studi quanto alla sua esperienza diretta, tanto di studente e allievo che di professore e Maestro, studioso tra l’altro di un grande come Platone?

Qui il riferimento a Platone è interessante, perché Platone, come tu hai ricordato, ritiene che il vero insegnamento è quello che si fa guardandosi negli occhi, parlandosi, ricercando insieme, e via dicendo. E tuttavia Platone Per i suoi tempi ha scritto un sacco di roba; cioè rispetto al momento storico in cui lui ha scritto, lui ha scritto un’enciclopedia, perché i testi erano tutti brevi, anche per ragioni economiche; e lui ha scritto veramente tantissimo, basta prendere ad esempio, dato che ce li abbiamo, I Dialoghi; o un libro di dieci libri come La Repubblica, o uno in dodici come Le Leggi, e poi un sacco di Dialoghi anche molto lunghi, e poi un sacco di Dialoghi brevi; allora: perché? Per il motivo per cui ha scritto Tolkien, secondo me. Perché lì il problema non è del tempo, il problema è dello sguardo, il Maestro è colui che guarda e che fa le cose sempre pensando ai suoi allievi. Non pensa al suo successo… ma oddio poi sai, ci sono le debolezze umane, però come dire l’asse, il binario su cui è situato è: “Questa cosa allora è utile, questa cosa magari li fa pensare, li fa scoprire, li fa sentire” questa cosa, più del tempo, è importante, perché tu ti poni in un’ottica di servizio, un’ottica in cui quello che conta è, sì, certo, anche il tempo, perché se non c’è tempo questa operazione… cioè non so quanto tempo ci ha messo a scrivere tutti quei libri il buon Tolkien, ma certo ci ha dedicato tanta fatica, tanto tempo, per gli altri; e devo dire è anche riuscito. Allora, in questo senso, io credo che tutte le letture ideologiche sono proprio sbagliate, perché si mettono su un asse completamente diverso. Io lavoro per te, allora andiamo a vedere che cosa, che tipo di lavoro mi proponi, qual è la speranza che uno scrittore, un Maestro, ha nei riguardi dell’effetto che determina nel lettore o nello studente: se uno vuol convincere di una sua tesi, politica, ideologica, il lettore, non può dire che sta lavorando per lui. Sta lavorando per quella idea, cosa legittima magari, non discuto, ma non sta lavorando per il ragazzo, per il giovane, per il lettore. Lavorare per il lettore vuol dire: “Qualunque sia la cosa che tu pensi, o che tu penserai (a meno che tu non sia proprio… come dire, l’incarnazione del male, adesso non voglio citare le cose precise ma, proprio spregevole e indegno del rispetto, proprio: il male), a me va bene quello che tu pensi. Poi magari se non siamo d’accordo litighiamo, certe volte il litigio fa anche bene alla circolazione sanguigna, no? A me interessa che tu abbia la percezione di certe cose. Dicevo prima del senso del limite: che lo veda, nel racconto, nella debolezza, anche dell’eroe più fulgido, no? Chi è l’eroe, in quel racconto? Tu che sei un Tolkieniano di ferro, vedi che è una domanda da far tremare le vene ai polsi! Perché alla fine nessuno è l’eroe, e un po’ tutti sono eroi alla misura umana. Ognuno, alla sua misura, riesce a realizzare qualcosa. Allora, tu pensa appunto al dibattito su cui io ho sorvolato, ma che quando ero negli anni ottanta era invece sugli scudi: allora, da una parte la sinistra che temeva l’irrazionalismo, questa era la paura: “Eh no, bisogna affrontare le tematiche secondo una logica in cui la situazione economica, la situazione politica, la lotta di classe…” cioè una serie di cose, non ho niente da dire su questa faccenda, ma perché ogni posizione che non sia ancorata a questo modo di ragionare, e che sia evocativa, che sia poetica, deve essere subito abbandonata perché irrazionalista? Chi l’ha detto? La poesia deve essere razionale? No, Dio ci liberi! No? Deve essere profonda, intelligente, evocativa. Deve suscitare grandi sentimenti; non so se possiamo dire se Shakespeare è razionale, non capisco che c’entri. Invece l’altra parte, la destra, andava verso la mistica, quindi prendeva dei valori, quelli sì, temo, irrazionali, e li faceva diventare il testo; e a me non sembra che il testo dia questo. Come al solito, come dicevo fin dall’inizio, c’è questa separazione, che non ha molta ragione d’essere, non ha molta ragione di essere applicata a un’opera così bella come il Signore degli Anelli, rovinando poi tutto, alla fine.

Per ultimo vorrei farle una domanda sul “multifocal approach” che lei in primis e l’intero settore di antichistica degli studi storici in Filosofia dell’Università di Macerata state portando avanti e proponendo al mondo accademico nazionale ed internazionale. Tolkien si studia e si capisce solo mettendo insieme un gruppo di persone molto preparate in ambiti diversi, dalla traduzione alla filologia, dalla linguistica alla filosofia, fino agli studi storici, biografici e teologici. Secondo lei, il metodo del multifocal approach può essere utile anche negli studi Tolkieniani? Può spiegarci in poche parole e nei limiti del possibile in che cosa esso consiste? Ed infine, proporre un nuovo paradigma alla comunità scientifica è certamente cosa ardua; cosa consiglia ai Tolkieniani che desiderano vedere Tolkien studiato all’Università? Lei appoggerebbe ad esempio una domanda di Dottorato in cui Tolkien sia compreso?

Perché no? Io ho discusso una Tesi, mi ricordo, sull’uso in guerra, guerra contemporanea, cioè di oggi, delle forze corazzate rispetto alle altre forze. Siccome nessuno se la sentiva di fare il correlatore, io che mi sono occupato, siccome sono pazzo, anche di queste cose, ho fatto un dibattito interessantissimo, c’erano tutti i colleghi con gli occhi fuori dalle orbite; quindi, affrontato con la dovuta… ecco, però mi raccomando eh? Poi entriamo nel merito della tua domanda, senza paludare troppo il nostro Tolkien. Un ragazzo di liceo, quindi un po’ cresciutello, che si legge Tolkien e ne rimane incantato, a me va benissimo. Poi c’è una lettura che può fare un “intellettuale” messo tra virgolette, penso, come termine, serio. Poi c’è una lettura che può fare uno studioso di Tolkien, ad un altro livello. Vedi: il multifocal già comincia a vedersi. Bisogna dire che la lettura del ragazzo non è vera? Che l’esperienza che ha fatto, che magari gli ha fatto scoprire una serie di valori, non è importante? Gandalf! Quanto fa scoprire Gandalf? Secondo me è un personaggio meraviglioso. Io purtroppo non ho mai potuto approfondire tematicamente, uno deve decidere che vita fare, e quindi dedicandomi a Platone, dedicandomi a tante altre cose, ho fatto l’esperienza del lettore di Tolkien, ma non approfondita come certamente meritava. Ma appunto allora che cos’è il multifocal approach? Multifocal approach vuol dire che noi dobbiamo prendere atto che anche la realtà più semplice come questa penna che tengo in mano, in realtà è estremamente complessa. È complessa in sé stessa: è fatta di tanti pezzi, ha una funzione. Questa penna qua viaggia nel tempo: la porto nell’antico Egitto, gliela regalo. E questi possono valutare: che bel colore, che bella situazione, fa anche un rumore; tic e tac, guarda che carino! Punto. Perché non c’è la carta, e non credo che sulla pelle di montone o sul papiro questa punta rotolante produca grande effetto, dubito. Capisci cosa voglio dire? Cioè anche una cosa ridicola come una penna, dentro ha un sistema di relazioni complicatissimo, quindi può essere vista come oggetto estetico, come una di quelle penne d’oro, con l’inchiostro, che si regalano magari il giorno che si va in pensione, no magari alla laurea di uno in Legge, che magari vuol fare il notaio; ecco, capisci? Può avere un valore estetico, può avere un valore di ricordo: la penna d’oro di mio padre è lì nel mio cassetto, e lì sta. Certo non la uso, perché chi usa più le penne di quel tempo? Però è lì, perché ha un valore di un certo tipo. E poi vi è un valore di uso… cioè, è chiaro? Le cose hanno questa complessità interna ed esterna, e solo approcciandole dai vari punti di vista noi possiamo dire di avvicinarci all’oggetto, perché tanto l’oggetto nella sua perfezione non lo avremmo mai, perché tutto ha tante facce, e noi vediamo sempre una faccia e non le altre. Può essere utile affrontare Tolkien in questo modo? Ma io mi chiedo com’è possibile non affrontarlo in questo modo!? La Compagnia dell’Anello: più multifocale di quello! Non so se ci sono studi del genere, ma se tu avessi qualcuno che vuol fare uno studio io gli direi: le varie anime della Compagnia dell’Anello! Perché certamente come la vive Aragorn, e come la vive Gandalf, e come la vive Frodo, e come la vive il nano, eccetera, non è la stessa cosa, perché ognuno di loro rappresenta una cultura diversa, ha delle aspettative diverse e delle aspettative comuni; il gioco è sempre simile e dissimile, identico e diverso, E allora sarebbe interessante vedere in che misura Tolkien stesso è riuscito a darci questa calibrazione. Essendo un artista magari c’è riuscito, non lo so, io non ho, non ho mai fatto… Uno dei miei sogni era andare in pensione, cosa che ufficialmente è successo tre anni fa, ma tu sai che continuo a lavorare come prima, quindi…  Se alla fine mi fermerò e verrò a Macerata una volta ogni tanto, be’, Il Signore degli Anelli è sicuramente uno dei libri che devo rileggere, è nell’elenco di quelli che (spero di campare molto a lungo per poterli rileggere) spero proprio di poterlo rileggere insieme a tanti altri libri che vorrei rileggere, e magari farò attenzione a questa cosa, ma voi che siete così tanto impegnati nell’approfondire, non so se qualcuno ci ha pensato a una cosa del genere, ma mi sembra non priva di interesse, perché in fin dei conti il viaggio è unico, il problema è unico, perché il problema è il Male che arriva e che quindi va affrontato con il massimo di unità possibile, con tutte le tensioni e le rotture che continuamente avvengono, le cadute, i tradimenti… Tradimenti è un po’ “pesante” però ci si arriva certe volte proprio vicino vicino, no? E però uno è Nano, quell’altro è Elfo, e non si trovano simpatici d’emblée, no, immediatamente; quell’altro è Umano, e quindi come dire c’è quello di una città, quello di un’altra città, e quindi se tu questo gioco polivalente, che sarebbe bello ricostruire e vedere in che misura ha peso nella vicenda, considerando che poi è questo che spiega l’imprevedibilità, fino al tradimento da parte di quello che avrebbe dovuto essere il capo dei Maghi, degli Stregoni, non so qual è il termine più giusto, e che invece a un certo punto subisce anche lui il fascino del male, perché appunto siamo sempre in relazione, bene e male ci sono tutti e due, ed ogni volta noi siamo lì che tiriamo. E quello che fino a quel punto sembrava l’elemento forte di cui Gandalf si fidava, è quello che rischia di aiutare, di determinare la vittoria del peggior nemico, che poi uno ci pensa un attimo e dice: “evidentemente ha perso il lume della ragione”, perché col Male non si può fare un patto, perché se il male è male, non rispetterà il patto; o lo rispetterà solo fino a quando, se, come, gli pare a lui. Perché non gli puoi dire: “ma tu adesso mi stai tradendo”, il male ti guarda e ti dice: “Tradendo? Non capisco la parola, non è nel mio vocabolario”. Sarebbe interessante secondo me questo approccio, vedere in che misura Tolkien stesso ha giocato sui vari tavoli. Ci vuole uno studioso che gli dedichi il tuo tempo. Può essere una bella tesi di laurea, sicuramente.

Grazie Professore, grazie mille.

Va bene, spero, non so se ti sembra interessante è quello che abbiamo detto…

Interessantissimo, veramente. Una delle più belle interviste che abbiamo mai fatto.

Allora… no, no, a me basta che… perché la cosa a cui io tengo sempre è che uno non esca dicendo: “Ma tu guarda quanto tempo perso” allora non ne è valsa la pena, allora è un peccato. Se invece sei contento, basta, siamo contenti tutti.