Tolkieniani Italiani – Intervista a Fabio Porfidia

Giunge il turno di coinvolgere nella nostra carrellata un altro amico di vecchissima data, stavolta pescato dalla fertile fucina dei bravi illustratori nostrani. Fabio Porfidia, già membro dello storico smial  Sackville di Bergamo, racconta qualcosa di sé (e non solo) rispondendo ai quesiti di Gianluca Comastri, tra cui non manca qualche gustosa anticipazione. Se vorrete scambiare qualche parola direttamente con lui, non sarà difficile: lo trovate in gran parte delle fiere più prestigiose che abbiano anche una parte “comics”.

 


Fabio, anche tu sei tra coloro i quali, partendo da una formazione di tutt’altro tipo, sono approdati al mondo della Fantasia e vi si sono insediati stabilmente. Quando hai capito che per te il disegno era il modo più pieno di vivere concretamente gli stati d’animo delle storie che di ispirano? E oggi, dopo anni di riscontri positivi, che cos’è per te disegnare – oltre, naturalmente, a un lavoro?

Ciao a te e tutti i lettori! Sì, ho seguito un percorso di studi molto “razionale” (liceo scientifico e laurea in economia), ma l’ho sempre trovato frustrante: le uniche materie in cui andavo davvero bene erano quelle letterarie ed artistiche. In realtà ho sempre sentito il bisogno di disegnare come valvola di sfogo. Nel periodo universitario avevo quasi completamente abbandonato il disegno perché era una distrazione dal faticoso studio che stavo portando avanti. Però poi la letteratura mi ha riportato in carreggiata. Penso alla scoperta di Lovecraft, che mi ha fatto rinascere la voglia di rappresentare ciò che i racconti ti evocavano nella mente; parallelamente iniziai a frequentare il gruppo tolkieniano Sackville. Fu proprio grazie a loro che ebbi la possibilità di esporre qualcosa di mio in pubblico per cui da lì, oltre al filone gotico, iniziai a disegnare anche fantasy (inteso in senso lato, so bene che Tolkien è molto più che fantasy!). Dopo poco, nel 2006, iniziai a frequentare la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco di Milano: dopo la laurea in qualcosa che mi aveva inaridito, volevo per la prima volta in vita mia studiare qualcosa che mi piacesse davvero. Da lì in poi ho avuto molta fortuna.

Oggi disegno o dipingo quasi tutti i giorni. Dico “quasi” perché insegnando ho sempre necessità di studiare, approfondire vari argomenti (non sempre direttamente legati al disegno, ad esempio mi appassionano tantissimo la storia, la paleontologia e il mondo naturale in genere). Inoltre gestire le mail o la messaggistica con editori e committenti a volte implica  anche mezze giornate a spippolare sulla tastiera senza toccare un foglio. Frustrante ma necessario! Disegnare mi piace sempre tantissimo, anche se farlo per qualcun altro non sempre è gratificante come quando lo fai per te stesso. Talvolta non riesci a far passare la tua visione al committente: quando avviene spesso è frustrante, ma talvolta ti fa scoprire nuove soluzioni inaspettatamente belle. Insomma, ti obbliga costantemente a rimetterti in gioco. Un po’ mi manca il periodo in cui avevo il tempo di disegnare tutto quello che mi passasse per la testa. Però di contro oggi vivo grazie al disegno e di questo devo essere enormemente grato a chiunque mi supporti e mi commissioni qualcosa. O mi intervisti 😉

Ormai sei piuttosto noto tra chi frequenta gruppi ed eventi tolkieniani, però basta un’occhiata a qualche tuo portfolio, a una delle tantissime fiere in cui sei ospite oppure sul bel sito web Lo Scrigno di Carter, per scoprire che con le tue opere rendi omaggio a diverse saghe. Una graduatoria è fuori luogo, ma chiedere che cosa in particolare ti ha catturato della Terra di Mezzo di Tolkien mi pare lecito…

Io piuttosto noto? Ogni tanto qualcuno mi dice frasi del genere e ci resto sempre spiazzato. Stando gran parte della tua vita barricato in studio a disegnare non ho molto la percezione di quanto si diffonda quello che faccio. Però mi fa molto piacere che la gente mi inizi un po’ a conoscere!

Tolkien sicuramente è uno degli scrittori con cui mi trovo più a mio agio nel disegno. Avendo letto il suo Legendarium sono sempre rimasto colpito dalla varietà del suo mondo e dalla profonda ricchezza: cerchi immagini epiche, ci sono; cerchi immagini orrorifiche, ci sono; cerchi immagini eteree, ci sono; cerchi i nani, ci sono (i nani sono importanti)! Mi spiace davvero molto avere così poco tempo libero perché ci sono davvero tantissime scene che vorrei illustrare. Tralaltro sono a buon punto nella raccolta del materiale per “In Viaggio per Arda” volume 2.

Da lettore a dire il vero attualmente apprezzo soprattutto il genere distopico o la fantascienza più psicologica, ma da disegnatore sicuramente tutta l’epica e il fantasy offre un bacino enorme estremamente appagante da rappresentare. In questo ambito ho apprezzato moltissimo i romanzi di Martin su “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”. Purtroppo anche qui ho pochissimo tempo per leggere e quasi sempre lo dedico alla lettura di romanzi o giochi di ruolo per cui ho lavorato (e posso assicurare che è una mole imponente, visto soprattutto che a leggere sono molto lento!).

Ti contraddistingui per un certo rigore nella consultazione delle fonti: in tempi non sospetti hai ritratto gli Ent come giganti, uscendo dallo stereotipo degli alberi con viso e arti, mentre più di recente hai rispolverato un elemento non certo noto alle masse – il disegno di Tolkien I Vene Kemen, da cui hai tratto una rivisitazione apprezzatissima. Quanto è complesso, dopo l’epoca dei film, distaccarsi da un certo tipo di rappresentazione che ormai è radicato in un numero sempre crescente di appassionati?

Se non ricordo male per quella rappresentazione degli Ent contribuì a suo tempo, durante un incontro Sackville, una chiacchierata con Gabriele Marconi, seguita da un’attenta rilettura di tutti i passi in cui gli ent venivano descritti da Tolkien. I Vene Kemen era una immagine che volevo realizzare da oltre un anno, forse addirittura due. Per tutto questo tempo ho tenuto “Racconti Ritrovati” sulla scrivania con un segnalibro alla pagina del bozzetto di Tolkien e un chiodo fisso: “appena ho un po’ di tempo, rifaccio quella mappa”. Ad ogni modo sì, per me attenermi alle fonti è importantissimo e tengo a restare quanto più fedele possibile, sebbene alcune reinterpretazioni siano particolarmente efficaci visivamente. Parlo ad esempio della torre di Orthanc a Isengard, descritta da Tolkien come un cilindro nero completamente liscio e reinterpretata in modo egregio dalle illustrazioni di Alan Lee e John Howe, sebbene completamente differente. I film sono stati un ottimo prodotto, merito anche degli artisti che ci hanno lavorato, però come tutte le volte in cui un’opera letteraria finisce su schermo, va a condizionare l’immaginario. Inevitabilmente su alcuni aspetti, anche inconsciamente, ne sarò sicuramente succube. Però da lettore ho avuto delle immagini mentali abbastanza solide che sono state davvero poco scalfite dai film. E ad esse ritorno quando voglio disegnare: il mio Denethor non ha davvero nulla in comune con quello del film, ma semplicemente perché fin dalla prima lettura me lo ero immaginato così come l’ho disegnato anni dopo.

Sempre a proposito di rappresentazioni celebri e di mostri sacri della matita, hai in curriculum anche un workshop con John Howe: ce ne riassumi le impressioni che ti ha lasciato in non più di venti righe di testo?

Non più di 20 righe… Proviamoci! Anzitutto ho avuto modo di studiarmi l’artista e le opere ancora nel periodo 2004-2005, anno in cui i Sackville avevano fatto una bellissima iniziativa al liceo Mascheroni dedicata a Tolkien. Io proposi una rassegna sui principali artisti tolkieniani, tra cui ovviamente John Howe. Un paio d’anni dopo, organizzando l’ultima (e mai troppo celebrata) edizione de I Borghi dell’Anello provai a contattarlo per chiedergli se fosse stato possibile averlo ospite. Non l’avrei mai immaginato, ma rispose nell’arco di un’ora (sebbene declinasse l’invito perché in quel periodo fuori Europa). E poi finalmente un paio d’anni fa ebbi occasione di conoscerlo di persona nel corso organizzato a Milano. E’ stata un’esperienza incredibilmente emozionante perché, oltre a dare delle nozioni, ha portato tutto il suo vissuto e ci ha fatti riflettere su diversi aspetti sia tecnici che emotivi. Un momento particolarmente emozionante poi ha segnato l’ultima giornata. Dato che normalmente disegno in tradizionale, ma dipingo in digitale, volevo cogliere l’occasione per rispolverare gli acquerelli dopo anni e anni di abbandono. Quindi, una volta impostata la tavola con la bozza a matita e avere dato il tono di sfondo, gli chiesi quale fosse l’approccio migliore per iniziare a dipingere. Lui mi chiese se potesse sedersi, prese un piccolo foglio e iniziò a dipingere l’occhio di un drago. Ricordo che la classe (eravamo una trentina) si ammutolì e nel giro di pochi secondi erano tutti attorno al mio banco dove John stava dipingendo. In rete si trova il video (non realizzato da me perché all’epoca non ero ancora così tecnologico!). Beh, adesso sono il fortunato possessore di un acquerello originale di John Howe! Davvero una bellissima esperienza. Mi spiace tantissimo non essere riuscito a prendere parte al corso proposto pochi mesi fa. Ma immagino e spero ci saranno altre occasioni!

Vieni dal territorio bergamasco, in cui praticamente da sempre opera lo storico smial dei Sackville, uno dei primi e più attivi della penisola (restano celebri proprio le tre edizioni de I Borghi dell’Anello, tra il 2004 e il 2006): oggi che percezione hai del “movimento” dei tolkieniani italiani? Che cosa offre e in cosa manca ancora per essere la casa ideale di un disegnatore volenteroso e appassionato?

La percezione che ho sicuramente è molto sfalsata dal fatto che anni fa, da studente, avevo parecchio tempo libero che oggi non ho. Per cui sicuramente vedo le cose in modo differente. Ricordo che nel periodo in cui entrai nei Sackville (2003) esistevano già da un paio d’anni. Il boom del gruppo, poi diventato associazione, è stato sicuramente in concomitanza con l’uscita della prima trilogia di Jackson. Si poteva apprezzare l’interpretazione dei film o no, ma sta di fatto che in moltissimi si iniziarono ad interessare a Tolkien. All’epoca frequentavo moltissimo lo smial, anche se poi la scuola, prima da alunno, poi da insegnante, mi impedì di partecipare agli incontri. Ricordo con particolare affetto, oltre a I Borghi, l’evento che organizzammo nel 2012: There and Back Again: sulle tracce di Bilbo Baggins, a cui peraltro anche tu hai preso parte attiva! Adesso riesco ad andare agli incontri 2-3 volte l’anno, però resto sempre in contatto e se si volesse organizzare altri eventi, sarei ben felice di esporre con loro. Ricordo il periodo d’oro dei Borghi con particolare nostalgia comunque. Era anche il periodo delle Hobbiton a San Daniele del Friuli, le uniche a cui sono riuscito ad andare.

Mi sembra che anche adesso ci sia un certo fermento tolkieniano, anche per merito della secondo trilogia di Jackson, sebbene con meno traino rispetto al SdA e forse più polemiche (“la viverna!!!!”, “troppa computer grafica!!!”, “ma quelli non sono nani!!”, “Tauriel l’elfa che si innamora di un nano? Ma poi chi cacchio è Tauriel!?”…) prova ne è le tante iniziative più o meno direttamente legate a Tolkien. Però non ne ho molto il polso: riesco solo ad avere una visione parziale ai vari eventi a cui vengo invitato in quanto ospite, per cui non so l’organizzazione che vi sta dietro e se questa sia seminale anche in ambito artistico. Una cosa che ho notato di oggi, a differenza dell’epoca 2004-2006, è la frammentazione. Non mi riferisco agli smial (non so nemmeno quanti ne sopravvivano), ma parlo delle principali realtà tolkieniane italiane. E’ un vero peccato, visto che personalmente ho ottimi rapporti con tutti i gruppi dello scenario, vedere attriti quando il fine comune dovrebbe essere valorizzare l’autore che tutti apprezziamo! Si dovrebbe cercare ciò che unisce non ciò che divide. Però è solo lo sproloquio di un’imbrattafogli.